Vita e opere di Shankara
(scheda didattica)
di Paolo Scroccaro
Shankara è riconosciuto come uno dei massimi esponenti della metafisica di tutti i tempi. Ciò nonostante, non è nemmeno citato nei nostri manuali di filosofia, liceali ed universitari (vi è un’unica eccezione: E. Balducci, Storia del pensiero umano). La gravissima omissione, oltre che deplorevole, è del tutto ingiustificabile, e si aggiunge alle altre che da tempo andiamo denunciando, nel tentativo di allargare gli angusti confini entro i quali si attarda la cultura “ufficiale”, troppo unilaterale ed eurocentrica.
Shankara (788-820 circa)
(“Benefattore” o “Creatore di pace”, attributo di Shiva)
Certi dettagli riguardanti la vita non sono certi, poiché egli nelle sue opere non fornisce riferimenti biografici espliciti. Il mettere tra parentesi ciò che è di ordine individuale, è in linea con lo stile della Sophia Perennis, oSanâtana Dharma, di cui Shankara è uno dei maggiori rappresentanti. È noto, infatti, che tale tradizione prevede l’oltrepassamento o l’estinzione dell’ego a qualsiasi livello, in vista del carattere “impersonale” della realizzazione spirituale. Per quanto riguarda la biografia, ci limiteremo perciò a segnalare solo i dati più essenziali, confermati da varie fonti (talvolta si possono trovare versioni diverse, specie per quanto riguarda le sequenze spazio-temporali, che però non alterano minimamente il contesto globale ed anzi esaltano l’opera del grande Advaitin).
Nasce nel villaggio di Kâlati, vicino all’odierna città di Alwaye, nel Kêrala (India meridionale), da una famiglia brahmanica. Ancora bambino, impara il Sanscrito, i Veda, i Purâna, i Darshana ortodossi… muovendo i primi passi verso la sâdhanâ (sentiero realizzativo, disciplina spirituale). A soli 8 anni, lascia il villaggio natio e decide di praticare la povertà volontaria, alla ricerca di maestri spirituali. Peregrinando, incontra il grande asceta Govinda (già discepolo di Gaudapâda), che lo accetta nella sua comunità, facendogli da guru (istruttore), e verificate le eccellenti qualità del giovanissimo allievo, lo esorta a commentare le Upanishad, laBaghavad Gita ed i Brahmasûtra (che nell’insieme costituiscono la triplice base del Vedânta). A questo periodo sembra appartenere anche ilVivekacûdâmani (Il Gran Gioiello della Discriminazione).
Tramite Govinda, può avvicinare anche il venerabile saggio Gaudapåda che stava preparando la sua dipartita dalla Manifestazione, vivendo appartato nell’Himâlaya, in una caverna presso le sorgenti del Gange. Il maestro dell’Asparsha-Vâda (Via del “Senza Sostegno”) lo accoglie con grande favore e lo invita ad operare per risanare la spiritualità tradizionale, offuscata a causa della degenerazione di buona parte del mondo brahminico. La rivivificazione dovrebbe partire da Benares, centro spirituale per eccellenza.
La tradizione racconta poi che in Himâlaya, sul monte Kailâsa, avviene “l’unione di Shankara con il dio Shiva”, culminante nella Paramadiksa (Iniziazione Suprema). Da allora viene considerato un’incarnazione del dio Shiva, una sua “Discesa” (Avatâra).
Ritornato nel mondo ordinario per la scomparsa della madre e di Govinda, in qualità di grande istruttore spirituale inizia i suoi viaggi trionfali per l’India, culminanti nel soggiorno di Benares, la città di Shiva, sacra agli Indù. Qui insegna l’Advaita Vedânta (il Vedânta della Non-Dualità) e si confronta con gli esponenti delle altre scuole (darshana), ortodosse o meno, dimostrando che la metafisica della Non-Dualità è da sempre l’espressione più universale della tradizione indù e che i contenuti più profondi dei testi sacri corrispondono perfettamente a tale metafisica. Comincia a “formare” i suoi discepoli più importanti, che ne prolungheranno l’opera.
Dopo i successi di Benares, lascia anche la città sacra per insegnare altrove l’Advaita-vâda, seguito da alcuni allievi. In questo contesto, fonda i primi monasteri e diversi ordini monastici-iniziatici, con lo scopo di rivitalizzare la spiritualità indù, riportandola ai significati più elevati e più universali, oltrepassando le chiusure letteralistiche e ritualistiche, pedanti e superficiali, sostenute da troppi brahmani incompetenti, incapaci di penetrare intellettualmente la vastità della dottrina depositata nei simbolismi dei testi sacri (molti accetteranno la guida di Shankara, altri tenteranno, vanamente, di contrastarlo).
A 32 anni, completata la rivivificazione della spiritualità secondo gli orientamenti dell’Advaita, si “ricongiunge a Shiva” ed entra inMahâsamâdhi (Assorbimento Totale nell’Assoluto Brahman Nirguna), ritirandosi definitivamente dalla Manifestazione. Secondo la versione bengali, il Grande Samâdhi sarebbe avvenuto nel monte Kailâsa, dimora di Shiva; secondo altre versioni, a Kâñcî, dove ancor oggi si venera la sua tomba (e dove a suo tempo il re locale l’aveva accolto con grandi onori, facendogli costruire anche un importante monastero).
In genere, egli è ricordato con l’onorifico appellativo di Jagadguru, cioè Maestro del mondo, Maestro Cosmico o Universale: considerando l’ampiezza illimitata dell’Insegnamento, l’attributo è del tutto appropriato.
Opere attribuite a Shankara
Commentari (Bhâsya) a 10 Upanishad antiche, parte integrante dei Veda(Bhadâranyaka, Chândogya, Taittirîya, Aitareya, Kena, Katha, Îsa, Muñdaka,Prasna, Mâñdûkya).
Commentari ai Brahmasûtra (555 aforismi su Brahman, che danno la chiave di lettura dei testi sacri) e alla Bhagavad Gita.
Vari Inni e Canti devozionali, dedicati a Govinda, a Krishna, a Shiva e a varie divinità indù (considerate aspetti o personificazioni del Brahman nirguna che nella sua assoluta illimitatezza trascende tutte le determinazioni).Il fatto non è secondario, perché segnala una volta di più l’universalità dell’Advaita Vedânta e la capacità di superare le frammentazioni religiose, dovute a qualche forma di ristrettezza mentale, per altro inevitabile, entro certi limiti quando ci si rivolge ai più.
Molti trattati (Prakaraña) di metafisica, che insegnano a meditare su aspetti decisivi dell’Advaita Vâda:
Âtmabodha (La Conoscenza del Sé), manuale fondamentale della metafisica vedantina, poiché insegna a superare l’egoicità e le altre sovrapposizioni velanti che occultano il Sé universale.
Vivekacûdâmani (Il Gran Gioiello della Discriminazione), manuale che insegna la discriminazione (viveka) tra Realtà assoluta e illusoria, tra l’Universale-sovraformale e le forme parziali e relative. La liberazione esige il superamento delle identificazioni imprigionanti che legano al condizionato.
Aparokshânubhûti (Realizzazione o Esperienza Diretta del Sé), in cui vengono spiegati i mezzi per ottenere tale conoscenza realizzativa, a partire da certi prerequisiti indispensabili che qualificano l’ascesi.
Upadeshasâhasrî (L’Istruzione in un Migliaio di Versi), ampio trattato presentato nella forma di un dialogo tra Istruttore spirituale e discepolo. Il Maestro risponde alle obiezioni dell’allievo, aiutandolo a superare dubbi, paure e ristrettezza mentale, ostacoli ricorrenti in qualsiasi sentiero realizzativo.
Opere concise, talvolta brevissime, dedicate a qualche speciale risvolto dottrinario, forse sintesi di trattati più estesi:
Laghuvâkyavritti (Breve Esposizione della Sentenza), commenta il mantra “Io sono Brahman”, in modo assai conciso.
Vâkyavritti (Esposizione della Sentenza): veloce commento della sentenza “Tat Tvam Asi “(Tu Sei Quello).
Jîvanmuktânandalaharî (L’Oceano di Beatitudine del Liberato in Vita), descrive sinteticamente tale condizione, per quanto possibile.
Âtmajñâopadeshavidhi (Istruzione sulla Conoscenza del Sé), esamina i vari involucri velanti e i vari stati di coscienza (“veglia, sogno, sonno profondo”), fino alla Coscienza Pura Universale, testimoniata dall’Âtman onnipervadente.
Pañcakaranam (La Quintuplice Ripartizione), brevissima operetta che spiega il processo di formazione del mondo, a partire dai 5 Elementi, con commento del simbolismo AUM (OM).
Sadâcarâ (La Via dell’Essere): indica alcune regole che l’aspirante deve seguire per realizzare la Purificazione e la Conoscenza.
Yâtipañcakam (Cinque Versi sull’Asceta): rapido scorcio sulla dimensione di vita dell’asceta.
Shivapañcaksharam (La Quintuplice Realizzazione di Shiva): spiega in che senso la sola realtà sia Shiva-Brahman.
Manîshâpañcakam (La Quintuplice Convinzione) descrive “l’incontro” con Shiva.
Secondo alcuni, sarebbe l’autore anche del Drig Drishya Viveka(Discriminazione tra Spettatore e Spettacolo, vale a dire tra Âtman e non-Âtman), opera perfettamente in linea con la metafisica non-dualistica ed espressione della Scuola. Che l’autore materiale, in questo caso come in altri, possa esser Shankara o qualche altro Advaitin, in fondo è un fatto che riveste un’importanza del tutto marginale.
Terminiamo questa rassegna, necessariamente selettiva e incompleta, ricordando che a Shankara viene attribuito anche il testo Sharva-Vedânta-Siddhânta-Sârasangraha (La Quintessenza del Vedânta): come recita il titolo, si tratta di un notevole manuale di dottrina della Non-Dualità, che viene organicamente compendiata in 1.006 Sûtra. Come ricorda l’ultimo Sûtra, “quest’opera è stata composta affinché possa aiutare altri aspiranti alla saggezza a disperdere i dubbi che possono sorgere nei loro cuori”.
Molti tra i testi citati sono pubblicati in lingua italiana nelle Edizioni Âsram Vidyâ. La quintessenza del Vedanta si trova nelle Edizioni Ubaldini.