La Lettera VII, insieme alla Lettera VIII, è oggi considerata dalla stragrande maggioranza degli studiosi l’unica delle tredici lettere di Platone ragionevolmente attribuibile al filosofo ateniese. In essa Platone narra le principali fasi della sua formazione filosofica e politica, soffermandosi in particolare sul fallimento dei tre tentativi fatti a Siracusa per cercare di riformare la città, ponendovi a capo un re filosofo.
Oltre ai temi biografici e politici, la Lettera VII ha attirato l’interesse degli interpreti contemporanei anche per la critica della scrittura in essa contenuta, che può senz’altro essere messa in relazione con Fedro 274b-276a. In particolare, a destare attenzione è il passo 341c, in cui Platone dice:
Platone sembra dire che vi sarebbero delle dottrine della massima importanza, che però non possono essere comunicate per iscritto per via della debolezza intrinseca di questo mezzo, e che devono essere tenute nascoste ai più, perché incapaci di comprenderle. Alla ricostruzione di queste «dottrine non scritte» (agrapha dogmata) si sono dedicati, a partire dagli anni ottanta del XX secolo, gli studiosi facenti parte della cosiddetta Scuola di Tubinga-Milano. Secondo questi interpreti, professori nelle università di Tubinga (Krämer, Gaiser, Szlezák) e Cattolica di Milano (principalmente Giovanni Reale), vi sarebbe una dottrina segreta che Platone ha preferito comunicare solo oralmente e solo ai propri allievi, alla quale avrebbe fatto riferimento di tanto in tanto nei dialoghi e che è possibile ricostruire attraverso le testimonianze di Aristotele e pochi altri (Sesto Empirico, Alessandro di Afrodisia, Aristosseno). Fare luce su queste dottrine significa pervenire al cuore stesso della filosofia platonica, allontanandosi dall’interpretazione tradizionale per fornirne una nuova e rivoluzionaria (quello che questi studiosi chiamano «nuovo paradigma ermeneutico»), in grado di risolvere molti dei problemi interpretativi più dibattuti. La nuova immagine di Platone che ne risulta supera il dualismo oggetti sensibili/realtà ideale, mostrando come la stessa dottrina delle idee sia solo una parte di una più ampia e complessa dottrina dei princìpi. (Trad.: A. Maddalena, Roma-Bari 1966) « Perciò, chi è serio, si guarda bene dallo scrivere di cose serie, per non esporle all’odio e all’ignoranza degli uomini. Da tutto questo si deve concludere, in una parola, che, quando si legge lo scritto di qualcuno, siano leggi di legislatore o scritti d’altro genere, se l’autore è davvero un uomo, le cose scritte non erano per lui le cose più serie, perché queste egli le serba riposte nella parte più bella che ha. » E ancora, in 344c:( Trad.: A. Maddalena, Roma-Bari 1966) « Questo tuttavia io posso dire di tutti quelli che hanno scritto e scriveranno dicendo di conoscere ciò di cui io mi occupo per averlo sentito esporre o da me o da altri o per averlo scoperto essi stessi, che non capiscon nulla, a mio giudizio, di queste cose. Su di esse non c’è, né vi sarà, alcun mio scritto. »
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