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Platone: Sofista

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  • Data di Pubblicazione Luglio 24, 2016
  • Ultimo aggiornamento Settembre 29, 2016

Platone: Sofista


Il Sofista (Σοφιστής) è un dialogo di Platone dedicato a temi ontologici e risalente al periodo dei dialoghi cosiddetti dialettici o della vecchiaia, cioè l'ultima fase della produzione del filosofo.

Alla ricerca di una definizione per il "sofista", figura che si rivelerà sfuggente e che agli occhi di molti appare simile al "filosofo", o addirittura al politico, lo Straniero di Elea si ritroverà a dover affrontare il tema del non essere e compiere un parricidio ai danni di Parmenide: il sofista, infatti, con i suoi discorsi falsi e ingannevoli, fa apparire come essente ciò che non è, contravvenendo in questo modo al monito di Parmenide: "Ciò che non è non devi forzare ad essere" (Sofista, 237a). Vengono così affrontati i quesiti che erano rimasti irrisolti nel Teeteto e nel Parmenide, dialoghi aporetici a cui si fa esplicito riferimento in vari passaggi della discussione:[1] dimostrando dialetticamente l'esistenza del non essere, Platone supera le aporie di questi due dialoghi, riguardanti l'essere e l'errore, definendo il non essere come modalità dell'essere, come diversità ("essere altro da"). Tutto ciò che è, che partecipa dell'essere, risulterà anche non essere – e così anche le idee saranno identiche a se stesse, ma diverse le une dalle altre, poiché l'una non sarà l'altra; la realtà trascendente pertanto si articolerà in una molteplicità di enti, dei quali l'uno non sarà l'altro.[2] L'essere è dunque una molteplicità, mentre il non essere è infinito (256e).

Trama

Il Sofista, insieme ai dialoghi Teeteto e Politico, costituisce una trilogia, l'unica riconoscibile nel corpus platonico. Al termine del Teeteto (210d), Socrate rimanda la continuazione della discussione alla mattina successiva, dandosi appuntamento con Teodoro nello stesso posto; il rinvio è al Sofista, che infatti vede gli stessi personaggi, a cui si aggiunge lo Straniero di Elea, discutere sugli argomenti concordati; a questi due dialoghi si aggiunge infine il Politico, in cui si continua la stessa discussione, e che vede lo Straniero discutere con il giovane Socrate di argomenti politici (257a). Ad essi funge idealmente da preambolo il Parmenide: sia nel Teeteto (183e-184a) che nel Sofista (217c) viene ricordato l'incontro avvenuto parecchi anni prima tra Socrate e l'ormai anziano filosofo eleate.

Nel Sofista, Socrate come da accordo si incontra con Teodoro e i suoi allievi per continuare la discussione del giorno addietro. Teodoro ha però portato con sé un ospite, uno Straniero originario di Elea che dimostra di avere tutte le doti del filosofo. Socrate acconsente a rendere partecipe l'ospite della discussione, e gli pone una richiesta: cercare di trovare una definizione per le parole "sofista", "politico" e "filosofo". Lo Straniero decide di condurre l'indagine con il metodo diairetico, aiutato dal giovane Teeteto lì presente, cercando inizialmente la definizione di un tipo umano più semplice da illustrare, il "pescatore con la lenza", per poi spostarsi su quella più complessa del "sofista". Vengono passate in rassegna sei definizioni del sofista, nessuna delle quali risulta esaustiva:

  1. cacciatore di giovani ricchi per denaro;
  2. commerciante all'ingrosso di tecniche di comunicazione;
  3. commerciante al minuto delle medesime;
  4. venditore di prodotti fatti in casa (ancora nel senso delle tecniche di comunicazione);
  5. atleta nella lotta che si pratica con i discorsi (erista);
  6. purificatore delle opinioni che impediscono all'anima di arrivare alla verità (quest'ultima viene anche chiamata "nobile sofistica" per distinguerla dalle precedenti).

Il riepilogo delle sei definizioni (Sofista, 231c7 - 232b2) non pare tuttavia soddisfacente. Lo Straniero passa pertanto ad elaborare una settima definizione che colga più da vicino l'aspetto illusionistico del "logos sofistico, concentrandosi sul tema della tecnica mimetica che produce immagini difformi dalle cose rappresentate. Sarà proprio in questo contesto che lo Straniero e Teeteto si imbatteranno nel problema del non essere: come può un'immagine essere la raffigurazione di ciò che non è? Da questa domanda ha inizio la sezione centrale del dialogo, dedicata alla discussione delle tematiche inerenti all'essere e il non essere, con particolare attenzione alla dottrina di Parmenide. Quest'ultima viene confutata attraverso l'analisi dei generi sommi. Infine, lo Straniero dà un'ultima definizione di "sofista".

Il metodo dicotomico-diairetico

La prima importante questione che viene posta all'inizio del Sofista è di carattere metodologico, e concerne il metodo d'indagine da utilizzare per ricercare una definizione per il sofista. Nella fattispecie, com'è noto, lo Straniero discutendo con Teeteto ricorre alla dialettica e al metodo diairetico o dicotomico. Il procedimento è così sintetizzabile: preso un «tutto uno» (ólon), lo si divide nelle due parti/aspetti complementari che in esso sono riconoscibili, e di queste due parti si sceglierà quella che interessa per la ricerca in corso, dividendola a sua volta in due. Così facendo, ripetendo la divisione per ogni aspetto di nostro interesse fino a giungere all'oggetto d'indagine, l'intero di partenza sarà alla fine diviso nelle sue varie forme (eidos). Da qui, risalendo a ritroso seguendo le varie ramificazioni ottenute, è possibile ritrovare la definizione dell'oggetto studiato, unificando i vari aspetti di nostro interesse. Vi sono dunque due momenti: il primo consiste in una divisione (diairesis), mentre il secondo in un'unificazione (coinonia).[3]

Bisogna però essere prudenti nello svolgimento di questo metodo, poiché è facile sbagliarsi e commettere errori. A questo riguardo, nel Politico lo Straniero mette in guardia il giovane Socrate dall'applicarlo troppo alla leggera, raccomandandogli invece di procedere a passi brevi, analizzando nel dettaglio i vari passaggi:

« Facciamo attenzione a non separare una parte troppo piccola rispetto alla grandezza e al numero del tutto, e a non separarla dalla specie cui appartiene: ma la parte che viene separata abbia sempre insieme la specie. È bellissimo separare direttamente dal resto l'oggetto della ricerca, nel caso in cui questo si svolga in modo corretto, come tu poco fa hai fatto, quando, ritenendo di avere tra le mani la distinzione, hai affrettato il discorso, vedendo che si orientava verso gli uomini; ma, amico, è molto più sicuro procedere tagliando attraverso le parti mediane, e sarà più facile imbattersi nei tratti distintivi delle cose. »

(Politico 262a-b; trad.: E. Pegone)

In questo modo è possibile studiare meglio l'oggetto di indagine e le differenze tra le varie arti (technai), poiché il metodo diairetico permette di
« comprendere l'affinità e la non affinità, e sotto questo aspetto le considera tutte alla pari, e per la somiglianza non stima le une più ridicole delle altre, e in nulla stima più nobile colui che spiega la caccia tramite la strategia, piuttosto che con l'arte di ammazzare i pidocchi, ma al limite più presuntuoso. »

(Sofista 227b; trad.: G. Giardini)

Ora, applicare questo metodo ad una figura complessa come quella del sofista è un'impresa ardua. Per facilitare il compito a Teeteto, lo Straniero decide di iniziare con un oggetto ben più semplice: il pescatore con la lenza (218e). Punto di partenza è la constatazione che la pesca con la lenza è un'arte, e che le arti possono essere poietiche, cioè creano qualcosa, oppure preposte ad acquistare qualcosa; nell'arte dell'acquistare, a sua volta sono distinguibili l'arte dello scambiare e quella di impadronirsi di qualcosa contro la volontà di qualcuno; quest'ultima arte dell'"impadronirsi", poi, può essere esercitata apertamente, e in questo caso si parla di "lotta", oppure celatamente, e abbiamo la "caccia"; la caccia, a questo punto, può essere o di prede inanimate oppure vive, e nel caso di caccia a esseri viventi bisogna distinguere tra chi caccia animali terrestri e chi invece animali "remiganti", i quali, a loro volta possono essere alati o acquatici. Si è così giunti a distinguere la "caccia agli uccelli" dalla "pesca", ma la ricerca non finisce qui. Anzitutto, la pesca può essere fatta o per mezzo di "impedimenti" (reti, nasse) o per mezzo di "colpi" (ami, tridenti), e in questo secondo caso si deve distinguere la "pesca con il tridente" (che colpisce dall'alto verso il basso) dalla "pesca con la lenza" (il filo viene tirato dal basso verso l'alto). A questo punto, lo Straniero non deve fare altro che riunire i vari aspetti sorti dalla diairesi e dare una definizione per la "pesca con la lenza" (220a-221c).

Le definizioni di «sofista»

Dopo aver mostrato come si deve impiegare il metodo diairetico con l'esempio del pescatore con la lenza, lo Straniero di Elea può ora occuparsi, insieme a Teeteto, dell'argomento della discussione, cioè il sofista. Dall'analisi emergono sei definizioni:

  •     cacciatore di giovani ricchi e famosi (223b)
  •     commerciante all'ingrosso di nozioni inerenti all'anima (224b)
  •     venditore al minuto di nozioni inerenti all'anima (224d)
  •     venditore di prodotti fatti in casa (ibidem)
  •     disputatore di discorsi (225e)
  •     purificatore dell'anima dai falsi concetti (la nobile sofistica)(227b-c)

A ciò si aggiunga che il sofista, per quanto concerne l'oggetto della sua tecnica, appare come un:

    uomo capace di discutere di qualsiasi argomento (231a)

Anzitutto, il sofista mostra di essere simile al pescatore con la lenza, poiché entrambi sono accomunati dall'attività di caccia; ma mentre il pescatore caccia animali acquatici, il sofista ricerca giovani ricchi e facoltosi, attirandoli con la promessa di renderli, dietro compenso, uomini sapienti e virtuosi (definizione 1).[4] Facendosi pagare per i propri insegnamenti, il sofista può anche essere visto come un commerciante che in cambio di denaro fornisce nozioni inerenti all'anima (definizione 2) - aspetto che viene ulteriormente specificato con la definizione 3. Inoltre, quando si parla di sofistica non si può dimenticare l'eristica, l'arte del "battagliare" con i discorsi in modo da mettere a tacere l'avversario: il sofista, nel senso dato dalla definizione 4, è dunque paragonabile a un lottatore che combatte con le armi dei logoi. Egli è interessato al successo nella vita politica, non alla ricerca della verità. Infine, lo Straniero rintraccia nel sofista anche un lato positivo, quello che consiste nell'estirpare i concetti errati dall'anima mediante la sua attività paideutica (226d-e). La definizione 5 mette in imbarazzo i due interlocutori, poiché il sofista sembra essere accomunabile al filosofo, il quale, simile a un medico, mette in atto una purificazione dello spirito. Qui si mostra in tutta la sua chiarezza l'ambiguità che è propria del sofista, il quale esercita la propria arte mimetizzandosi e fingendo di essere altro da sé. Come emerge dall'abbozzo della definizione 7, il sofista vanta di essere in grado di insegnare qualsiasi cosa, di saper parlare di qualsiasi argomento e contraddire con i suoi discorsi qualsiasi avversario;[5] ma un uomo può essere davvero onnisciente? Come emerge anche dagli altri dialoghi platonici dedicati alla critica della sofistica, per parlare di qualcosa è necessario conoscere l'argomento di cui si parla; il sofista, invece, non possedendo conoscenze specifiche, non potrà mai contraddire un esperto (233a). L'arte del sofista, in ultima analisi, consiste nell'ingannare i giovani con discorsi affascinanti, mostrando loro non la verità, ma una sterile imitazione parodistica della realtà, fatta di vuote parole.[6]

Il sofista si rivela dunque una figura perniciosa, dai tratti sfuggenti, che bisogna a tutti i costi delineare in modo netto, così da evitare confusione. Non è infatti casuale che, alla richiesta di Socrate in 217c, lo Straniero decida di partire proprio dal sofista: una volta compreso quale sia il sapere proprio del sofista, sarà più facile individuare il sapere del filosofo e del politico. Per questo motivo la prima parte del Sofista (e così sarà anche nel Politico) viene dedicata a questioni metodologiche, ricercando di definire una techne generale che si avvicini il più possibile alla techne da studiare, così da poter fare luce su quest'ultima.[7] Esercitando la diairesi, tuttavia, si divide ogni techne in due specie tra di loro contrarie, di ognuna delle quali si deve dire che non è l'altra: per definire il sofista, in ultima analisi si deve dire che cosa egli non è - ma affermare questo significa superare l'ontologia parmenidea, questione di non poco conto che impiega la gran parte delle energie dei due interlocutori. Solo alla fine di questa lunga discussione su essere e non essere, lo Straniero può ritornare sul sofista e, attraverso una nuova diairesi, giungere a definire la sofistica come

« l'imitazione dell'arte di contraddizione, parte simulatrice dell'opinione, del genere che crea apparenze che deriva dalla capacità di creare immagini, che è parte umana e non divina dell'arte del creare, la parte cioè che crea meraviglie nei discorsi. »

(Sofista 268c)

Il «parricidio» di Parmenide

Per poter dare una definizione di sofista, bisogna comprendere come sia possibile l'esistenza di una tecnica che fa apparire ciò che non è. Lo Straniero afferma testualmente:
« Questo apparire, questo sembrare e non essere; il fatto che si possa affermare qualcosa, e che questo qualcosa non sia vero, è un problema di straordinaria difficoltà (...) »

(Sofista 236e)

Affermare di poter dire il non essere significa violare un caposaldo dell'ontologia di Parmenide, quello secondo cui il non essere non si può né dire né pensare (237a). Urge allora approfondire la questione, e compiere quello che lo Straniero definisce un «parricidio» ai danni del grande filosofo suo connazionale (241d).

Non è qui il caso di dilungarsi sul complesso rapporto sussistente tra Platone e Parmenide;[8] quello che importa è comprendere che l'esercizio della dialettica è impossibile se si nega l'esistenza del non essere. Liquidare la tesi di Parmenide sul non essere è di estrema importanza per sbarrare la strada agli inganni del sofista, per poterlo definire con rigore ed evitare che si confonda con il filosofo, con colui cioè che purifica l'anima dagli errori. A questo scopo, bisogna portare avanti la ricerca

« non su tutte le forme, per non confonderci tra molte, ma scegliendone alcune di quelle che vengono chiamate più grandi, considerando per prima cosa quali siano una per volta, poi, come si comportano quanto a capacità di congiungersi tra di loro, cosicché, se non potremo afferrare l'essere e il non essere in tutta chiarezza, almeno su di essi non ci troveremo privi di argomentazione, per quanto lo consente il criterio della nostra attuale ricerca. »

(Sofista 254c)

Così facendo, lo Straniero risale ai 5 generi sommi, i 5 predicati fondamentali da cui discendono tutte le cose:

  •     essere
  •     identico
  •     diverso
  •     stasi
  •     movimento

Il primo principio è l'essere; il problema sorge però quando si passano a osservare il secondo e il terzo genere, identico e diverso, e il quarto e il quinto, stasi e movimento: identico e diverso non sono la stessa cosa, come un oggetto in movimento non può essere fermo, e viceversa. Ciò impone di accettare l'esistenza del non essere come modalità dell'essere, in quanto "essere altro da": «per tutti la natura del diverso, rendendo ciascuno differente dall'ente, lo fa non essere» (256d-e). Tutti i generi dunque sono collegati all'essere (che è molteplice) e per questo motivo sono e non sono enti. E se nella contrapposizione tra Stasi e Movimento è possibile riconoscere, rispettivamente, i concetti fondamentali su cui si basano le opposte filosofie di Parmenide ed Eraclito, Identico e Diverso rinviano ai concetti fondamentali della logica che saranno oggetto delle posteriori analisi aristoteliche.

« Noi, infatti, da tempo diciamo di lasciar perdere il contrario dell'essere, che ci sia o no, se è passibile di esame razionale o se è del tutto irrazionale. Quello che noi abbiamo detto ora, cioè che il non ente è, o qualcuno ci convince che non è detto bene, dandone la dimostrazione, o, finché non ne è capace, deve dire anche lui quel che diciamo noi, che i generi si mescolano gli uni con gli altri e che l'essere e il diverso attraversano ogni cosa e l'uno l'altro, ma che il diverso venendo ad avere parte dell'essere, non è, a causa di questa partecipazione, ciò di cui partecipa, ma è diverso, e poiché è diverso dall'ente è molto chiaro che necessariamente è il non ente. L'ente poi in quanto a sua volta ha parte del diverso dagli altri generi, ed essendo diverso da tutti quelli, non è nessuno di essi è tutti gli altri insieme eccetto se stesso, tanto che a sua volta l'ente indiscutibilmente per mille cose e in mille situazioni non è, e così anche gli altri generi, sia uno per uno che tutti insieme, in molti modi sono, in molti altri no. »

(Sofista 258e-259b)

Essere e non essere spiegano l'esistenza di vero e falso non come interni alle cose, ma esistenti nel mero giudizio. Il pensiero è discorso, inteso come dialogo muto che l'anima intrattiene con sé stessa (263e), ed è sempre pensiero di qualcosa, e mai di nulla. L'essere stesso viene così ricondotto al discorso, al pensiero, poiché il falso consiste nel dire di una cosa che è di una specie invece che di un'altra, nel dire cioè di una cosa un essere che non le appartiene, e quindi dire che è ciò che non è.[9]

Note

    1. F. Adorno, Introduzione a Platone, Bari 1997, p. 167.

    2. F. Adorno, Introduzione a Platone, Bari 1997, pp. 174-5.

    3. F. Adorno, Introduzione a Platone, Bari 1997, pp. 168-9, 180.

    4. Una definizione simile viene data da Socrate in Eutidemo 290b.

    5. Illuminanti al riguardo sono le parole di Gorgia in Gorgia 457a.

    6. F. Adorno, Introduzione a Platone, Bari 1997, pp. 169-170.

    7. F. Adorno, Introduzione a Platone, Bari 1997, p. 168.

    8. Per approfondire la questione, si rimanda alla voce: Parmenide (dialogo).

    9. F. Adorno, Introduzione a Platone, Bari 1997, pp. 176-177.


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